Testi Critici
Davide De Luca tratteggia vasti campi di colore adagiati sul supporto dopo averli prescelti ed affiancati. Grandiosi per i toni e la trattazione di uno spazio ideale, i lavori divengono piano mentale di quanti vogliono immaginare e librarsi, aleggiando lontano da tutto. Musicalità, per De Luca è dipingere con grazia e classe l’infinito, ma non solo, è lasciare che chiunque si levi per immergersi nelle acque tonali di un mare sconfinato e grandioso, come quello che ogni opera è in grado di offrire. I capolavori emergono dalla naturale evoluzione del colore e l’acutezza artistica risiede nella mente della mano creatrice che adagia la gradazione lasciando che si muova liberamente sul supporto, senza vincoli. L’artista è regista di una resa teatrale in cui i toni sono gli attori protagonisti che danzano una musica ignota scrutati continuamente dal loro maestro, perché solo con la loro danza si compie il supremo atto finale. Incorniciando e accordando i colori si concretizza una dissolvenza aggraziata e si palesa una soluzione grandiosa in cui la mano diviene rapida esecutrice di un pensiero acutissimo senza paragoni nella contemporaneità artistica. Anna Soricaro 2012.
La chiave di lettura delle opere di Davide De Luca si può facilmente comprendere, prendendo in considerazione uno dei titoli delle sue opere, il più intrigante forse: "Apocatastasi" 1998. Analizziamo quindi questo titolo. Apocatastasi. Nella serie delle teorie questa è quella che indica il movimento ciclico dell' Universo. Si tratta quindi della teoria dell'eterno ritorno, vuoi nel senso di ritorno alla perfezione primitiva, vuoi il compimento finale delle promesse di Dio. In particolare designava la dottrina di Origene con l'assunto che tutti gli esseri torneranno a Dio, e tutte le anime rientreranno nella primitiva innocenza. In altre dottrine filosofiche antiche indica il ricostituirsi della natura e del suo mondo, in ciascuna delle infinite volte in cui i cicli si ripetono nelle identiche forme e caratteri. Attraverso questa chiave di lettura, diventa molto più semplice avvicinarsi ad altri quadri dell'artista, dai titoli "Sorgente della vita" oppure "Rarefazione" o ancora " Ignoto siderale". In particolare in "Sorgente della vita" dove una vibrante lingua di luce, quasi un bianco lampeggiare dardeggia a colpire nel centro di una nebulosa, un invisibile ovulo spaziale per fecondarlo con tutti i ricordi, i trascorsi, le epopee e le epoche che ha attraversato nel suo lungo peregrinare immersa negli spazi e nei tempi, dopo averli misurati dapprima in anni luce e poi in eoni. E questo baluginare, lampeggiare, vibrare della materia, dove scrosci di colore si alternano a squarci spaziali e grumi nebulari, dando origine alle prime stelle, che da giganti bianche diverranno lentamente nane rosse sino all'implosione finale che trasformandole in buchi neri darà il via all'antimateria, forse anticamera di quella nuova esplosione, un nuovo Big-Bang, che rigenerando il tutto darà il via ad un nuovo ciclo vitale, purificato nell'animo, autorizzando nuovamente l'uso di quel titolo. APOCATASTASI. Tonino Caputo 1999.
Ad una prima lettura i suoi quadri ci appaiono come esplosioni astrali in mondi in divenire, forme a volte solide, a volte gassose, ci pare quasi di intravedere dei paesaggi che pian piano vanno formandosi per poi di nuovo scomporsi nelle tele successive: si perché l'opera può, o forse deve, essere considerata nel suo insieme, ma questi paesaggi, questi mondi appartengono ad una realtà fisica, anche se fantasiosa, o no forse ad una realtà metafisica di esclusiva appartenenza dell'artista ? Esperienze personali, riflessioni, frequentazioni musicali (dal colore si risale al suono e viceversa) e pellegrinaggi intellettuali, coinvolgono lo spettatore risvegliando in lui ricordi di non interpretati sogni e riminescenze di affetti perduti per sempre. Sono paesaggi interiori che più che disfarsi evolvono progressivamente e a noi pare non fuori luogo citare I. Evola - del periodo dadaista - : "alla direzione di un autotrascendimento discendente si oppone quella di un autotrascendimento ascendente. Il puro centrale, al di là del caos o in mezzo al caos, deve essere la volontà lucida; l'arbitrio, lo sconvolgimento delle forme deve adombrare l'individuo assoluto e il suo dominio. L'impulso non deve essere di immergersi nella vita, ma di portarsi al di là della vita". R. Lauria 1998
"Il capolavoro dell' arte moderna sta altrove, non nella produzione di un opera perfetta e compiuta bensì nella realizzazione di un nuovo modo di vivere la funzione estetica..." :così J. Evola nel 1925. E la progressione quasi cosmica delle opere di Davide De Luca ben si attaglia all'affermazione sopra citata: una nuova estetica intesa come superamento dell'immagine conosciuta per dipanarsi in quella molteplicità di paesaggi interiori che popolano la sfera più intima dell'artista il cui attuale bisogno è quello di far partecipare lo spettatore ad un qualcosa di strettamente privato che tende inesorabilmente ad oggettivarsi. Pertanto non fuga dalla realtà e necessità di rifugiarsi nell'onirico, bensì ineluttabilità di condivisione di un "creato" che col tempo e con innumerevoli difficoltà è venuto formandosi tramite sedimentazioni e stratificazioni. Un'immersione, quindi, non nell'ignoto ma in quella primigenia materia che, agglomerandosi e sovrapponendosi, ha "formulato" l'Homo Faber, l'Uomo Costruttore che in tutti noi dimora e che null'altro attende, dall'esterno e dall'interno, di essere risvegliato e di poter assurgere a nuova natura: l'Egregoros, colui che vigila. R. Lauria 2001.
Un intimo sentire sboccia come un incantevole fiore dinanzi ai nostri occhi, è l'immagine artistica di Davide De Luca, un elegante lirismo emerge da uno spazio in cui le forme perdono la loro consistenza materica diventando evanescenti, mentre l'atmosfera conquista la sua corporeità, la varietà della pittura diventa ancestrale, libera da qualsiasi definizione, trasformandosi in pura apparizione. De Luca scruta ed esalta la profondità insita nel colore emanando la risonanza e la sonorità cromatica; un perfetto ed idilliaco equilibrio si crea fra la natura del gesto espressionista, stemperato di violenza, ed il poetico flusso orientale, aspirazione estetica di sobrietà e di misura. Toni chiari e lucenti avvolti in un un campo energetico trascinano lo spettatore nel vortice di una vertigine emotiva e la senzazione luminosa di esplorare mondi infiniti e di navigare orizzonti sconosciuti. De Luca assegna all'arte il ruolo di ricerca continua, l'artista si riconosce nel quadro catturando il suo cosmico respiro. Vasco Bendini partiva dalla consapevolezza che gli uomini non conoscono gli altri ne se stessi, e De Luca prosegue il diario dei viaggi pittorici del maestro approdando in una zona eterna fonte perenne dell'esistenza. Flavia Soldato 2011
Le esplorazioni cromatiche di un libero artista. Esplorare. È il verbo adatto che è radice e motivo del lavoro di Davide De Luca. Una esplorazione libera, senza i limiti che inevitabilmente certe tecniche possono dare, al di fuori dai temi convenzionali e soprattutto con la consapevolezza di usare il colore come strumento per dare a chi guarda la stessa libertà che l’autore ha usato mescolando, apponendo, sovrapponendo tinte che alla fine sono elementi di un coro unisono e non lasciano il campo a prevalenze o favori. La nascita delle opere di Davide De Luca non innesca dubbi: espressione. Diretta, libera, incondizionata e sognante. A sentirlo, l’artista spiega con semplicità il suo processo creativo: “…mi accorgo di creare una atmosfera eterea, di mondi immaginari…è una ricerca che dura da anni…”. È dunque lo stesso gesto a mettere De Luca nella condizione di farci percepire una operazione artistica scardinata da qualunque regola comune, pur nel rispetto del culto e nella conoscenza approfondita del colore, che per la pittura è necessario. A De Luca interessa osservare le reazioni delle sue mescole di colore, come gli piace quell’invasione continua di un colore rispetto all’altro e così ne trae lo spunto fantastico per chiudere l’opera attorno ad una atmosfera che è percepita da chi osserva rendendoci partecipi di una visione che sembra davvero completarsi nello spazio dei suoi quadri. Il richiamo alla libertà creativa è necessario, poiché senza una libera espressione che sia madre e figlia dell’istinto, le sue opere non nascerebbero. Nato in Belgio e dedicatosi alla pittura da giovanissimo, Davide De Luca viene condotto da uno zio collezionista nei musei romani, si appassiona al mondo dell’arte ed alle stesse sensazioni che provava da osservatore, coltivandole perché potessero dare alle sue creazioni una indipendenza assoluta, un carattere proprio e non equivocabile. Dipinge prevalentemente con l’acrilico, e la scelta ha una sua ragione. Quella tecnica permette di usare ed abusare del getto immediato, non vuole la conferma del ritocco, non prevede attese lunghe e perciò diventa incorreggibile, in una condotta espressiva che attinga alla fantasia senza eccessi inutili. E lui stesso spiega con parole asciutte ed efficaci il significato di quella scelta: “…cerco di tirar fuori la bellezza dal colore…”. Tutto chiaro. Il vero protagonista è dunque il colore, con le sue inafferrabili soluzioni che si manifestano proprio mentre il getto si espande includendo il colore confinante o respingendolo, creando una dolce guerriglia risolta con l’armonia del risultato finale. La decisione di creare d’impatto, senza ripensamenti e insieme senza impeti furiosi fa pensare ad una fredda definizione che il grande Gastone Biggi, chiaro fin troppo, dava degli artisti informali: sono come i suicidi. Se ci pensano, non commettono l’insano gesto. Devono agire senza ripensamenti. Crudele ma azzeccato. Tra gli artisti a cui De Luca deve un interessamento sincero, citeremo il compianto Tonino Caputo, che scrisse per lui la presentazione di una mostra importante dal titolo importante: Apocatastasi. Alla fine degli anni novanta, De Luca concretizza i suoi sforzi creativi in quella mostra che fa scomparire dai suoi quadri le concrezioni di colori fin troppo ammassati, seppur notevoli e ben calibrati, per lasciare spazio ad un maggior respiro e ad una espressione delle tinte stesse, libere di giocare a rincorrersi senza regole in tele grandi o grandissime, di talché lo stesso effetto potesse essere raggiunto, con successo, anche nelle opere di piccola dimensione, riassunti di quei giochi con le tinte e le loro imprevedibilità. Un racconto di aria e colore, uno spirito libero governato dall’interesse per la fantasia ed il libero gesto. Una consolazione, per quelli che dalle opere d’arte intendono trarre godimento, compiacimento, consolazione dettate dal solo fatto di guardarle. Da queste righe abbiamo sempre diffidato dall’atteggiamento pigro e ricorrente di chi si lancia in comodi paragoni, ed ancora una volta ribadiamo che la pratica del “…somiglia a…” è da bandire. De Luca non somiglia, perché chi è libero e dà corpo al suo libero esprimersi può aver visto, può aver letto e considerato, ma ha una sua propria autonomia creativa ed è questo il caso, giacché la ricerca dell’artista è nel colore, nel gesto stesso di collocarlo sulla tela ad attenderne quasi le evoluzioni, guidandole con una procedura quasi fanciullesca, nello stupore di vedere riuscita l’idea di dare un’idea tra le mille combinazioni possibili, con l’intento, primario ed insopprimibile di creare, di fare pittura e non subirla. Di più diciamo che quelle combinazioni, quelle attiguità e quelle difformità cromatiche non sono, ci mancherebbe, casuali. È dalla osservazione, ripetuta ed analizzata mille e mille volte, delle dissoluzioni dei colori, del calcolo delle reazioni chimiche che arriva ciò che nelle sue tele diventa espressione di un informale da certificare come assolutamente libero. Dopotutto si dice “libero come l’aria”. Potremmo aggiungere che il vento lieve dei colori di De Luca arriva agli spiriti indipendenti prima e meglio di quanto possa giungere all’osservatore distratto o allineato. Ce lo dice l’immediato successo che le sue tele hanno riscontrato già dalle prime apparizioni televisive a Laboratorio Acca, dove è arrivato in una squadra collaudata di artisti aggiungendo la verve del fantasista ed una passione pura per il colore e le sue innumerevoli capriole. Giorgio Barassi (Luglio 2023).